La parola “multiculturalità” già dalla forma composita con cui si presenta riflette una complessità e una bellezza tutta da scoprire e da approfondire. La società cosmopolita in cui viviamo oggi si sposa perfettamente con questo termine. Partiamo dalla definizione: per multiculturalità si intende la presenza di culture diverse all’interno di una società.
Essa differisce dall’interculturalità che si definisce come un processo di interazione tra società multiculturali; si differenzia anche dal concetto di multiculturalismo che indica una nuova concezione dei rapporti tra Stato e minoranze etniche (com’è avvenuto in Belgio con le comunità vallone e fiamminga).
Nel titolo si fa riferimento ai due volti della medaglia di questo fenomeno: il primo aspetto da prendere in considerazione è la bellezza della multiculturalità.
La bellezza della multiculturalità
Bellezza è ricchezza; è la possibilità di aprirsi all’altro, alla sua prospettiva, al suo modo di vedere il mondo, persone, animali e cose; è conoscere il su stile di vita, la sua cultura, la sua lingua e le sue tradizioni sicuramente uniche e insostituibili. Certamente la globalizzazione, processo ancora in divenire, enfatizza molto il fenomeno della multiculturalità e lo fa attraverso i potenti mezzi mediatici e non solo. Si crea, così, una fitta rete di relazioni che fa emergere i punti in comune, più che le differenze, elementi nuovi fino ad allora ancora ignoti (si pensi, per esempio, ad un modo nuovo di cucinare una pietanza).
Bellezza è anche saper valorizzare le tante unicità che compongono il fenomeno complesso della multiculturalità. Che cosa significa valorizzare? Significa accogliere la persona con cui si interagisce nella sua essenza e nella sua natura, senza avere nessuna presunzione di influenzarla negativamente con giudizi o pre-giudizi (questi ultimi ancora più gravi); significa imparare a conoscerla e, eventualmente, condividere dei momenti insieme.
La multiculturalità è un rischio?
Il secondo aspetto da analizzare è il rischio legato alla multiculturalità. Si può parlare di rischio? E in che termini? La società globalizzata, con l’attenzione rivolta a ciò che fa più rumore mediatico, all’ultimo modello di tecnologia, alle cronache rosa di tanti vip, molte volte oscura le minoranze etniche, le culture locali con le loro tradizioni e usanze circoscritte.
In più, spesso non avviene l’inclusione tra le diverse culture, come ci si potrebbe aspettare, ma avviene la cosiddetta ghettizzazione: si crea un atteggiamento ostile verso le minoranze culturali presenti. Inoltre, in alcune di queste minoranze (quella islamica ad esempio) la società non si fonda, come nella maggior parte dei paesi occidentali, sulla separazione fra politica e religione, ma sulla loro totale sovrapposizione. Questo fatto comporta che i loro luoghi di culto, di fatto non svolgano solo la funzione religiosa, ma anche quella politica.
In questa ottica per evitare un “incubo multiculturale” (così come viene chiamato), sarebbe auspicabile una politica di apertura agli stranieri e, nello specifico, ai migranti; in secondo luogo lo Stato ospite non dovrebbe effettuare deroghe alle regole della suo vivere civile, vigilando sui comportamenti di volta in volta adottati.
Riflessioni finali
È sempre bene ragionale nell’ottica di un pluralismo culturale, non chiudersi in sè stessi e avere una mentalità aperta al prossimo che è straniero a livello di provenienza ma non straniero a livello morale ed etico (essere umano di serie B). Non è mai ovvio gettare luce su questa questione: al giorno d’oggi, infatti, essa è sempre più delicata e sottoposta a diversi ostacoli, in particolare, a leggi che ne minano il carattere caleidoscopico e che non fanno altro che depotenziarla e indebolirla.
Ognuno di noi, quindi, nel suo piccolo dovrebbe preoccuparsi di valorizzare e custodire l’aspetto multietnico della società: per esempio attraverso la divulgazione di messaggi positivi sui social, attraverso la promozione di iniziative a livello locale e non solo.