Salute mentale e universitari: parlarne solo quando si suicida uno studente, non basta
Salute mentale e universitari: parlarne solo quando si suicida uno studente, non basta

Salute mentale e universitari: parlarne solo quando si suicida uno studente, non basta

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Lunedì scorso abbiamo celebrato la giornata mondiale della salute mentale, ma nel frattempo venerdì scorso uno studente dell’Università di Bologna si è suicidato dopo aver detto ai suoi genitori di essere in procinto di laurearsi. La verità, però, era un’altra. Al 23enne mancavano ancora diversi esami quando si è gettato nelle acque del fiume Reno, quando la sua storia ha cominciato a essere raccontata sui vari quotidiani online che fino a meno di ventiquattro ore prima raccontavano quella del “più giovane laureato d’Italia“.

Facciamo nomi e cognomi: La Repubblica, Il Corriere, FanPage, RomaToday, La Gazzetta del Mezzogiorno, Sky TG24, Vanity Fair e molti altri ancora. Questi giornali, insieme ad altri, poco più di una settimana fa condividevano la storia de “il laureato più giovane d’Italia”, uno studente barese che si è laureato in un’università privata, la Luiss di Roma, a giurisprudenza, figlio di due genitori avvocati e parente di un ex politico. Potrebbe essere questo il motivo per cui le notizie sono state così tante? Sarà stata la pubblicità fatta dalla stessa università? Certo, è molto possibile. Ma perché si continua a parlare sempre dei due casi opposti?

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Fonte: Pexels

Da una parte abbiamo uno studente che si è suicidato, ovviamente sofferente di depressione e sicuramente l’università non sarà stato l’unico motivo che lo ha portato a questa drastica scelta, ma è pur sempre un 23enne che ha scelto il suicidio alla vita. Dall’altra, uno studente giovanissimo, con una famiglia ricca che ha avuto sempre la possibilità di sostenerlo economicamente (e, sia chiaro, questa non è una colpa), che ha avuto l’opportunità grazie a più scuole private di laurearsi molto prima dei tempi. E nel mezzo, cosa c’è?

Nel mezzo ci sono studenti invisibili, studenti fantasmi, studenti di cui nessun quotidiano parla perché non fanno notizia, perché non sono delle eccezioni. Parlo di studenti con problemi di salute, studenti caregiver, studenti lavoratori. Studenti che non hanno tempo per “hobby” e di “fare tutto con calma”, perché le borse di studio non sono per tutti, e non tutte le famiglie riescono a sostenere il prezzo di una vita da fuorisede, e quindi si trovano costretti a lavorare e studiare contemporaneamente. Di loro, chi parla?

Il problema invisibile degli studenti: vittime di un sistema che ci vuole o laureati in tempi record o morti – caso di Bologna

Bologna non è nuova a studenti suicidati. Solo un anno fa un altro studente fuorisede si era suicidato sotto il Ponte Stalingrado. Anche lui aveva annunciato la sua laurea, invitato i suoi familiari e poi si era suicidato. A Pavia, a luglio scorso, uno studente si è suicidato mandando una mail al Rettore: «Sono lo studente che si è tolto la vita in collegio. Non sono riuscito a cambiare nulla. L’Edisu ha cercato di aiutarmi e gliene sono molto grato ma non è solo una questione economica ma anche di (in)giustizia». E ancora, a luglio 2021, un altro studente di 25 anni si è suicidato alla Federico II di Napoli, trovato morto nella facoltà di Lettere.

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Fonte: Pexels

Il problema è che della salute mentale degli studenti universitari, quelli abbandonati durante la pandemia in quanto esisteva solo la scuola, quelli buttati in un mondo lavorativo che ci vuole con esperienze che non abbiamo la possibilità di fare durante il percorso universitario, è che se ne parla solo quando uno di noi si toglie la vita. Se ne parla con freddezza, come una qualsiasi notizia di cronaca, quando dovrebbe essere una denuncia. Interessante è stato l’articolo pubblicato nelle ultime ore da L’Espresso, in collaborazione con Aestetica Sovietica.

«A chi giova scrivere decine di articoli sullo studente record? Allo studente record e alla sua famiglia. Alla sua università privata, spesso, perché è una forma di marketing. A chi nuoce? A molti altri evidentemente, troppi per essere sepolti nel silenzio. Spinge forte sul petto di chi non ha la prontezza o la lucidità per problematizzare il racconto e scovarne le trappole. Di chi, così, riceve l’impressione distorta di essere l’unico e solo. Basterebbe questo per piantarla.

Eppure, i media tradizionali non riescono a trovare un modo per parlare di università che non sia la celebrazione dei picchi individuali. O la pietà fuori tempo massimo per chi ha preferito la morte. Questo contribuisce a plasmare un senso comune cieco agli ostacoli di classe, scolpisce famiglie in cui il gap generazionale fra genitori e figli non consente di trovare una definizione condivisa di fallibilità».

Aestetica Sovietica

«Il suicidio può essere interpretato come un fenomeno che scaturisce dalla tensione sociale, che in determinati periodi storici è più forte. Quella che si crea tra una meta che viene culturalmente definita come tale, la laurea ad esempio, e le effettive possibilità di raggiungerla può essere un caso. Dietro c’è un’interpretazione utilitaristica dello studio, come strumento per acquisire nozioni e voti, che genera ansia», ha spiegato alla giornalista Chiara Sgreccia il Professore associato del dipartimento di Scienze dell’educazione dell’Università di Bologna.

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Fonte: Pexels

Il sociologo Colloca e la professoressa Antonella Curci, ordinaria di Psicologia generale all’Università di Bari e referente del Rettore per il counseling psicologico, aggiunge che «non c’è mai solo una causa a motivare gesti così estremi come il suicidio. Sarebbe limitante incolpare l’Università ma certamente la pressione sociale che gli studenti vivono tutti i giorni potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso. Viviamo una società che ci vuole sempre bravi e performanti e questo non è facile da reggere».

Il ragazzo di 23 anni di Bologna è l’ultima vittima di questo sistema che ci vuole come eccellenze o morti, che parla di noi solo in questi due casi. Che ci vuole in tempo, con voti eccellenti, ma non si preoccupa minimamente di come viviamo. Lui è l’ultima vittima, per adesso, perché finché la situazione non cambierà, finché non la si smetterà di spettacolizzare delle eccezioni alla regola, senza parlare della normalità, siamo tutti in pericolo.

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