Oggi è la Giornata Mondiale per la Consapevolezza sull’Autismo, costituita nel 2007 dall’ONU per promuovere la ricerca, la diagnosi e i diritti delle persone nello spettro autistico, con l’obiettivo di eliminare le discriminazioni e incentivare l’inclusione sociale.
Autismo tra storia e medicina
In medicina e psicologia non si parla solo di “autismo”, bensì di Disturbi dello Spettro Autistico: la differenza tra le due definizioni sta nell’impossibilità di generalizzare una condizione che presenta una serie di sfumature variegate, le quali necessitano tipi di attenzione e cura diversificati. Nelle varie edizioni del Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM) ci sono state multiple revisioni in merito a questa definizione, dovute proprio al fatto che la sintomatologia, in termini più quantitativi che qualitativi, varia sostanzialmente nelle persone che rientrano nello spettro autistico: cioè i sintomi possono essere più o meno gravi di persona in persona.
Nel DSM-5 (APA, 2013) e 5-TR (APA, 2022) si definiscono tra i sintomi cardine del Disturbo dello Spettro Autistico (ASD) la compromissione continuativa nell’interazione sociale e una gamma di comportamenti ripetitivi, interessi e attività ristretti, problematiche inerenti una spiccata percezione sensoriale. I sintomi compromettono in maniera più o meno grave la quotidianità della persona e in genere compaiono sin dalla prima infanzia (a meno che non vengano messe in atto strategie di compensazione che fungano da maschera) e rimangono per tutto l’arco di vita: non è una malattia da cui si può guarire, ma una condizione permanente che determina una traiettoria di neurosviluppo diversa.
Sempre nell’ultima pubblicazione del DSM troviamo che all’interno dello spettro è stato anche inserita la sindrome di Asperger. Abbiamo considerato per molto tempo l’Asperger come qualcosa di simile e allo stesso tempo diverso dall’ASD. Effettivamente invece, le persone che rientrano nell’Asperger hanno una sintomatologia simile con compromissione più lieve rispetto ad altre persone nello spettro: l’Asperger viene infatti anche chiamato “Autismo ad alto funzionamento”. Tra i motivi per cui i due quadri diagnostici si sono differenziati per tanto tempo vi è anche il fatto che Autismo e Asperger furono studiati in maniera indipendente l’uno dall’altro nella prima metà del ‘900.
Caratteristiche principali dello spettro autistico
L’intero spettro dell’autismo è una condizione generale ereditaria, rendendo possibile la diffusione di più casi all’interno dei nuclei famigliari, con percentuali tra l’1 e il 7% di rischio superiore. La diagnosi del disturbo entra in conflitto nel momento in cui si rileva una disabilità intellettiva o un globale ritardo nello sviluppo; comunque, i sintomi possono presentarsi con una gravità tale da determinare una compromissione intellettiva e/o nel linguaggio.
Spesso, infatti, si assiste a bambini che non parlano fino a una certa età o che magari iniziano a dire qualche parola precocemente per poi fermarsi e riprendere a 3 o 4 anni; questo però non è l’unico segnale, poiché capita spesso che i bambini non parlino fino ai 4 anni circa per poi arrivare in tempi brevi a raggiungere le competenze verbali dei propri compagni (in psicologia vengono chiamati late bloomers). Diverso è il caso delle persone nello spettro autistico che sono anche non verbali, cioè non comunicano utilizzando le parole.
Parliamo di persone che possono avere difficoltà a interagire in maniera tipica con gli altri, ad esempio possono non guardare direttamente negli occhi l’interlocutore, avere un eloquio impulsivo e senza filtri, possono trovare più comfort nel parlare dei propri interessi ed essere triggerati da condizioni ambientali particolarmente caotiche che provocano una sovrastimolazione sensoriale (ad esempio, i centri commerciali).
Sempre rispetto alla sovrastimolazione, un meccanismo di coping osservato è lo stimming, tra cui rientra il cosiddetto “sfarfallio autistico”: sono vari pattern di comportamenti ripetitivi e ritmici messi in atto per mantenere un livello di arousal (stimolazione) adeguato, per provare sensazioni di benessere (lo stimming favorisce il rilascio di dopamina, con effetto rilassante), per bloccare stimoli considerati negativi o per percepire meglio la propria corporeità. Può anche sembrare strano se visto, ma in realtà è un meccanismo fondamentale: non giudichiamo.
Autismo e neurodiversità: la chiave dell’inclusione
Insomma, risulta difficile dare una descrizione univoca di una persona nello spettro autistico: ci sono tante situazioni diverse che richiedono trattamenti, sempre diversi, per poter preservare la salute fisica e mentale e favorire un’inclusione il più completa possibile.
La diversità che viene percepita tra chi è dentro e fuori lo spettro è presente nello spettro stesso: definire qualcuno come “autistico” e basta non lo descrive totalmente e risulta per molti versi riduttivo. Le esigenze, così come la presenza più o meno massiva dei sintomi, cambia molto e determina situazioni di “normalità” e altre in cui è richiesta un’assistenza continuativa e permanente.
Attualmente, i dati governativi stimano che in Italia 1 bambino su 77 sia nello spettro autistico: in media 1 bambino ogni 3-4 classi, circa. Non è così raro, quindi, conoscerne qualcuno nel proprio arco di vita. Non è neanche rarissimo ricevere diagnosi tardive, in tarda adolescenza o anche nell’età adulta, proprio perché la manifestazione dei sintomi è così variegata. Per questo, parlare di “normalità” risulta riduttivo nel mondo variegato e complesso (e per questo bellissimo) in cui viviamo oggi.
Le persone nello spettro autistico tendono a prediligere tutto ciò che è schematico e concretamente dimostrabile. Simon Baron-Cohen nel suo libro “I geni della creatività – Come l’autismo ha guidato l’invenzione umana” parla del Meccanismo di Sistematizzazione che ha guidato il progresso umano e dell’annesso schema “se-e-allora”: una sorta di sintesi mentale del metodo scientifico.
Le persone autistiche rientrano nelle menti super-sistematizzanti, cioè di menti che analizzano il mondo secondo schemi e regole ripetitive e causali: da qui si spiega la necessità di routine e di condizioni ambientali prevedibili. Nel suo libro c’è un dolce trattato in cui spiega il funzionamento di queste straordinarie menti e delle loro immense potenzialità, e come esse siano state indispensabili nell’arco della storia umana: ad esempio Edison rientra nelle peculiarità spiegate a fondo da Baron-Cohen (non è possibile stabilire una diagnosi reale per questioni, ovviamente, temporali e culturali).
Le persone nello spettro sono spesso accostate in maniera frettolosa allo stereotipo del genio che si isola, lontano dal mondo. In realtà dietro si cela un mondo complesso: a volte sono bambini che a scuola possono trovare difficoltà nel seguire programmi educativi standardizzati, possono essere adolescenti che trovano difficile cimentarsi nell’interazione sociale (ma non per questo non vogliono degli amici) o anche adulti che faticano a trovare una propria autonomia sociolavorativa.
Tra i banchi di scuola possono essere vittime di bullismo, solo perché hanno un modo diverso di interagire con gli altri e con il mondo che li circonda. In pochi parlano anche di come un basso funzionamento possa ricadere su famiglie che diventano caregiver, in un mondo che riconosce a stento il diritto all’inclusione delle persone autistiche e, in generale, disabili.
Ci scordiamo, spesso, che oltre le etichette diagnostiche, siamo tutti diversi. Ci dimentichiamo che il nostro cervello è sempre diverso da quello di qualcun altro e ciò è dovuto a tutte le connessioni neurali che abbiamo sviluppato, rafforzato ed eliminato nel corso delle esperienze. Ancora, sembriamo ignorare che le persone nello spettro autistico non si comportano in un certo modo perché lo decidono in maniera deliberata, in barba a qualsiasi convenzione socioculturale, ma che invece hanno un modo di comportarsi che si confà alla propria struttura cerebrale (Gallese nel 2006 ha ipotizzato il ruolo cruciale dei neuroni specchio nell’autismo). Questa struttura non è strana o malata, ma semplicemente diversa.
Parliamo, infatti, di neurodiversità o anche neurodivergenza non solo per quanto riguarda l’autismo, ma anche per tutte quelle condizioni che determinano un funzionamento mentale diverso come ad esempio l’ADHD o la dislessia. Con questo termine si cerca di andare oltre il paradigma medico per indicare una variazione naturale del cervello umano: è normale non avere un cervello neurotipico, e ciò non fa di noi delle persone di meno valore.
Cosa fare allora? Informarsi il più possibile sui portali governativi, medici e psicologici e, nel caso si abbiano dei dubbi sulla propria condizione o su quella di persone a noi vicine, rivolgersi a professionisti competenti. Avere pazienza e cura prima di tutto nei confronti delle persone nello spettro e poi verso i loro (eventuali) caregivers. Infine, cercare di comprendere, non limitarsi alle proprie convinzioni e andare oltre, ascoltare, capire che le persone nello spettro non sono insensibili o senza emozioni, ma al contrario trovano molta difficoltà nell’esprimersi e possono soffrire a causa di questo.
Evitiamo un contatto oculare se non è percepito come confortevole dall’altra parte, come anche un contatto fisico non richiesto (dovremmo a prescindere, in realtà); evitiamo ironia o sarcasmo, spesso di difficile comprensione per chi è nello spettro, e incoraggiamo i nostri amici nell’interazione dando loro la giusta considerazione (ad esempio anche nel parlare dei propri interessi), così come anche cerchiamo di evitare ambiguità varie. Parliamo chiaramente, senza giri di parole, se ci diamo appuntamento un giorno a quell’ora evitiamo di dare buca all’ultimo, e soppesiamo bene le parole che utilizziamo perché possono essere prese alla lettera e ferire.
Continuiamo a meravigliarci della diversità nel mondo, ad apprezzare ciascuno per come è e a costruire un mondo inclusivo, in cui mio figlio, fratello, cugino, amico e compagno autistico possano costruirsi una propria autonomia nel lavoro e nella vita sociale.