Paolo Borsellino: 31 anni dalla grande strage mafiosa contro la giustizia
Paolo Borsellino: 31 anni dalla grande strage mafiosa contro la giustizia

Paolo Borsellino: 31 anni dalla grande strage mafiosa contro la giustizia

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Paolo Borsellino e Giovanni Falcone: due nomi che resteranno per sempre impressi nella storia della Repubblica Italiana.

Come si suol dire, chi dimentica è complice e oscurare i misfatti della mafia significa permettere al suo potere violento e aggressivo di proseguire nel suo intento di saldare le sue radici possenti con sempre più forza e prepotenza.

Ancora oggi la sofferenza è tanta, il silenzio indignato di chi ha passato la propria vita a combattere contro l’ingiustizia vive negli occhi di tanti Italiani, che però non abbandonano quella flebile speranza che un domani tutto questo inferno possa giungere ad una fine.

Paolo borsellino e Giovanni falcone contro la mafia

Nel frattempo, quello che possiamo fare è non demordere e continuare a tramandare la storia di tutti quegli eroi che hanno lottato fino alla fine per gli stessi valori che oggi ci ritroviamo ancora a dover difendere. Uno di questi, senz’altro, è Paolo Borsellino.

Cenni biografici

Paolo Emanuele Borsellino nacque a Palermo il 19 gennaio 1940 nel quartiere popolare della Kalsa, dove, durante le tante partite a calcio nel quartiere, conobbe Giovanni Falcone, con il quale instaurò un’amicizia mai incrinatasi. Terminato il diploma, frequentò la facoltà di Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Palermo, che gli aprì le porte alla sua grande carriera: la magistratura.

Dopo la laurea in Giurisprudenza, infatti, entrò in magistratura nel 1963 (all’epoca fu il più giovane magistrato d’Italia). Dopo vari incarichi, venne trasferito all’Ufficio Istruzione del tribunale di Palermo. Strinse un rapporto molto stretto con il suo superiore Rocco Chinnici che, prima di essere ucciso nel 1983, istituì il cosiddetto “pool antimafia”: un gruppo di giudici istruttori che, lavorando in gruppo, si sarebbero occupati solo dei reati di stampo mafioso.

Borsellino fu confermato nel pool anche dal successore di Chinnici, Antonino Caponnetto. A metà anni ’80, Falcone e Borsellino istituirono il maxi-processo di Palermo basato sulle dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta. Per ragioni di sicurezza trascorsero anche un periodo all’Asinara. Lo storico procedimento nell’Aula Bunker dell’Ucciardone portò nel 1987 a 342 condanne.

Borsellino si dichiara “condannato a morte”

Già nel 1991, si scoprì in seguito, la mafia aveva iniziato a progettare l’omicidio di Borsellino, che intanto tornò a Palermo come procuratore aggiunto.

La strage in Via D’Amelio

Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò insieme alla sua scorta in Via D’Amelio, dove vivevano sua madre e sua sorella Rita. Alle 16:58 una Fiat 126 imbottita di tritolo, che era parcheggiata sotto l’abitazione della madre, esplose al passaggio del giudice, uccidendo oltre al cinquantaduenne Borsellino anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo, scampato perché al momento della deflagrazione stava parcheggiando uno dei veicoli della scorta.

Pochi giorni prima di essere ucciso, durante un incontro organizzato dalla rivista MicroMega, così come in un’intervista televisiva con Lamberto Sposini, Borsellino aveva parlato della sua condizione di “condannato a morte“. Sapeva di essere nel mirino di Cosa Nostra e sapeva che difficilmente la mafia si lascia scappare le sue vittime designate.

Antonino Caponnetto, che subito dopo la strage aveva detto, sconfortato, “È finito tutto“, intervistato anni dopo da Gianni Minà ricordò che “Paolo aveva chiesto alla questura – già venti giorni prima dell’attentato – di disporre la rimozione dei veicoli nella zona antistante l’abitazione della madre. Ma la domanda era rimasta inevasa. Ancora oggi aspetto di sapere chi fosse il funzionario responsabile della sicurezza di Paolo, se si sia proceduto disciplinarmente nei suoi confronti e con quali conseguenze“.

Il funerale di Paolo Borsellino

Migliaia di persone parteciparono ai funerali, ma i familiari rifiutarono quelli di Stato in aperta polemica con il mondo politico, colpevole secondo i parenti di non averlo difeso. Per la strage di via D’Amelio l’iter giudiziario è stato lunghissimo. Confessioni, falsi pentiti, condanne poi ribaltate. Secondo i giudici si è trattato di “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”.

La fine non di uno, bensì di due eroi

Nello stesso anno perse la vita anche il fedele compagno Giovanni Falcone, anch’egli vittima di un orrore mafioso meglio noto come strage di Capaci. Arrivato al fine settimana, come di suo solito, Falcone stava per tornare da Roma in Sicilia; atterrato all’aeroporto di Punta Raisi, il boss Raffaele Ganci seguiva tutti i movimenti del poliziotto Antonio Montinaro, il caposcorta di Falcone, che guidò il corteo delle tre Fiat Croma blindate dalla caserma “Lungaro” fino a Punta Raisi, dove dovevano prelevare Falcone.

Alle ore 17:58, fu provocata l’esplosione di 500 kg di tritolo, sistemati all’interno di fustini in un cunicolo di drenaggio sotto l’autostrada: la prima auto, la Croma marrone, venne investita in pieno dall’esplosione, uccidendo sul colpo gli agenti Montinaro, Schifani e Dicillo; la seconda auto, la Croma bianca, avendo rallentato, si schiantò invece contro il muro di cemento e detriti improvvisamente innalzatosi per via dello scoppio, proiettando violentemente Falcone e la moglie contro il parabrezza; rimangono feriti gli agenti della terza auto, la Croma azzurra. Il 23 Maggio 1992 alle ore 19.05 fu dichiarato il decesso di Falcone.

Ogni anno il numero di iniziative, commemorazioni ed eventi per ricordare Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono tantissime, in nome della giustizia e della libertà, ma soprattutto in nome di un’inarrestabile contesa contro la violenza della mafia e di una lotta nonviolenta.

Non li avete uccisi: le loro idee camminano sulle nostre gambe“, è ancora oggi uno degli slogan che accompagnano le manifestazioni.

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