De.sidera. Autolesionismo in adolescenza: una riflessione condivisa con Grazia Corcella e Rosanna Fiorella
De.sidera. Autolesionismo in adolescenza: una riflessione condivisa con Grazia Corcella e Rosanna Fiorella

De.sidera. Autolesionismo in adolescenza: una riflessione condivisa con Grazia Corcella e Rosanna Fiorella

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Oggi De.sidera, la nostra rubrica settimanale, ha accolto l’idea di proporre un prezioso momento di riflessione su un tema che la nostra associazione considera ad oggi di prioritaria importanza: l’autolesionismo in adolescenza e il valore della parola tra giovani e adulti.

Si tratta, infatti, di una forma di disagio giovanile costantemente in crescita, per il quale crediamo con fermezza che sia importante offrire spazi di non giudizio per considerare e valutare piani d’azione e d’intervento efficaci.

adolescenza
Fonte: Pexels

A tal proposito, rinnoviamo i nostri più sentiti ringraziamenti al Centro per la Famiglia della città di Barletta, che ha permesso ad “Univox” di creare un momento di confronto e condivisione: parlare non è mai semplice, ma il non detto e l’indifferenza creano distanze spesso incolmabili e dolorose, portando i giovani che vivono nella società odierna in un pesante e spesso trascurato conflitto con il mondo degli adulti.

Parlare di disagio giovanile è attualmente per noi una missione di valore, che non intendiamo in alcun modo mettere da parte: saremo sempre dalla parte di chiunque senta il bisogno di informarsi e ascoltare, ma anche di esprimere e raccontare la propria storia.

De.sidera: la nostra rubrica sul disagio giovanile

É importante ribadirlo ad ogni possibile occasione: “De.sidera” è la rubrica del blog della nostra associazione di promozione sociale, “Univox” ets, e si occupa di dare spazio non solo alle tematiche connesse al tema del disagio giovanile, ma anche a testimonianza di persone che desiderano dare voce a malesseri presenti o passati vissuti sulla propria pelle. 

É questo, a volte, che manca terribilmente: la voce che resta in silenzio, perché si ha il timore del giudizio, dell’etichetta, della derisione. “Univox” è da sempre un luogo di connessione nonviolenta e non giudicante, di pura inclusione e ascolto empatico: da qui la necessità di creare questo spazio di racconto personale. Si può scegliere di raccontarsi in anonimo o no, proponendo un tema di proprio interesse o offrendosi disponibile per la trattazione di un argomento connesso alla nostra nicchia tematica. 

Se hai in te l’interesse di partecipare, puoi contattarci sul nostro indirizzo email: apsunivox@gmail.com. Accoglieremo la tua richiesta e sarà nostra premura ricontattarti. Non c’è alcun vincolo di età o alcuna assoluta forma discriminante: qui troverai sempre un posto sicuro.

Cos’è l’autolesionismo?

Con il termine autolesionismo ci si riferisce a tutti quei comportamenti deliberatamente orientati al provocarsi dolore fisico. Questi comportamenti non hanno a che fare necessariamente con tentativi di suicidio o desiderio di togliersi la vita: infatti, l’autolesionismo è anche definito come un “danno deliberato e autoinflitto al proprio corpo senza intento suicidario e per scopi non socialmente accettati” (International Society for the Study of Self Injury, 2018).

Il DSM-5-TR (2022) – ove DSM definisce il Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali – definisce “autolesionismo non suicidario” (NSSI: Not Suicidal Self Injury) una categoria diagnostica distinta, facendo riferimento ad una serie di atti intenzionalmente autolesivi nei confronti del proprio corpo condotti per almeno 5 giorni nell’ultimo anno.

La condotta autolesiva per essere tale deve essere preceduta da una o più delle seguenti aspettative:

  • ottenere sollievo da una sensazione/stato cognitivo negativo;
  • risolvere una situazione relazionale;
  • indurre una sensazione positiva.

Inoltre, il comportamento autolesivo deve essere associato ad almeno uno dei seguenti sintomi:

  • difficoltà interpersonali o sensazioni/pensieri/sentimenti negativi precedenti al gesto autolesivo;
  • preoccupazione incontrollabile per il gesto;
  • frequenti pensieri autolesivi.

L’autolesionismo è un fenomeno molto diffuso tra gli adolescenti: secondo alcuni dati statistici dello scorso anno, ne interesserebbe circa il 15-20%. Tale comportamento permane talvolta anche nella prima età adulta, ma ad ora non sono stati rilevati dalla ricerca molti dati sui fattori che possano influenzare il permanere del comportamento autolesionistico nel tempo.

autolesionismo in adolescenza
Fonte: Pexels

Perché è importante parlarne? Il peso dell’indifferenza

La domanda che spesso ci viene posta è proprio questa: “Perché è così importante parlarne?”, “Non c’è il rischio di istigare a questi comportamenti se se ne parla?”. Rispondere non è semplice, né scontato: è importante tuttavia fare chiarezza.

In generale, intavolare un discorso su argomenti che sono considerati tabù sociali è sempre un’occasione per informare e rendere consapevoli tutti coloro che, dichiarandolo o no, non possiedono dimestichezza sull’argomento. Si abbattono stereotipi e pregiudizi, ci si confronta e si assume un approccio mediato e rispettoso nell’ascolto reciproco. Negli ultimi anni parlare di salute mentale sta divenendo sempre più una necessità, soprattutto a partire da un’esigenza: dare voce a quelle forme di malessere che per troppo tempo sono rimaste recondite.

Da giovane adulta, posso confermare che definire un dolore con una specifica parola mi permette di circoscriverlo, di identificarlo e di non permettergli di invadere il mio spazio nel modo più estenuante possibile. Il non parlare – soprattutto quando se ne è consapevoli – non è altro che il peso dell’indifferenza: ad un certo punto, demolisce.

Le “Tre ciotole” di Michela Murgia e il “fare finta di niente”

“Biblioteca femminista”: è così che le avvocate Grazia Corcella e Rosanna Fiorella hanno denominato gli appuntamenti periodici di riflessione con un’utenza di giovani e adulti presso il loro Centro per Famiglia, in Via Rizzitelli 45/A a Barletta. Si parte da una lettura per poi intraprendere un momento di condivisione, instaurando un clima di rispetto e ascolto reciproco.

Lo scorso giovedì, 29 Febbraio 2024, alle ore 18 ha avuto luogo l’incontro “Chi sono? Sul disagio giovanile tra scuola e futuro”: in qualità di presidente della nostra associazione, ho avuto il piacevole onore di poter dialogare con due splendide professioniste, raccontando quella parte del mio percorso di vita che a volte ho tanto tentato di nascondere, ma che alla fine mi ha portato a realizzare dei sogni che prima mi sembravano irraggiungibili. Tra questi, infatti, c’è proprio Univox.

Al centro per la famiglia ogni giovedì c’è un’emozione. Questo giovedì l’emozione è stata pura e tangibile, grazie all’intervento di Serena De Sandi. La sua esperienza di vita, la sua sensibilità e il suo impegno sociale ci hanno insegnato che nel deserto del disagio giovanile e della sofferenza può nascere un fiore meraviglioso o, come ha detto Serena, una seconda vita. La sua creatura, Univox, ed il Centro per la Famiglia condividono obiettivi e passioni. Mai più senza di Te, dolce Serena.

Grazia Corcella, avvocata
Locandina dell’evento “Chi sono io?”

Il testo letterario scelto è “Tre ciotole” di Michela Murgia, in particolare un passo in cui si fa riferimento a due giovani studentesse, compagne di classe, e ad un loro docente. Quest’ultimo dichiara di aver colto sul braccio di una delle due ragazze dei chiari segni di cicatrici sulla pelle, causati da atti di autolesionismo. Nonostante il forte impatto visivo, accade quello che molto spesso si è soliti compiere: fare finta di niente.

A questo punto, il dibattito prende avvio: come si può iniziare ad affrontare nel concreto un piano di intervento efficace per instaurare una comunicazione sicura tra giovani e adulti, soprattutto in contesti di evidente disagio? La prima risposta da me offerta è questa: accogliere. I giovani vivono un costante bisogno di performare, dimostrare, fare e produrre: senza un evidente rendimento, ci sentiamo nulla.

Sentirsi nulla significa essere convinti di non avere valore, un’utilità concreta all’interno di una società che scorre senza sosta. Avremmo bisogno di questo, come mi ha insegnato la dottoressa Stefania Andreoli nel corso di un’intervista televisiva: semplicemente non fare, ma essere.

Dare voce a chi non ce l’ha: la mia testimonianza

Ho praticato autolesionismo per circa nove anni della mia vita. Tutto quello che posso dire, come ho dichiarato durante l’incontro e come racconto apertamente nei miei canali social, è che forse non ho mai compreso il peso di tutto questo dolore che silenziosamente mi sono portata dentro. Ho iniziato a esserne consapevole solo tre anni fa, quando ho iniziato il mio percorso di psicoterapia.

Forse i segni sulla mia pelle parlavano chiaramente, ma dentro di me sapevo che non era una mera ricerca di attenzione. C’era qualcosa di più profondo, lì dentro. Un abisso tenebroso di paure, silenzi e non detti, ma anche di emozioni represse a cui non volevo dare voce. Volevo soffocarle, nell’indifferenza. Se quel giorno le mie due amiche non mi avessero portato fin sotto il portone della mia psicologa, stento a crederci tutt’ora che il prossimo 21 marzo avrei mai potuto festeggiare nove mesi senza farmi male.

Mi rendo conto di aver voluto nascondere tutto con estrema attenzione per molto tempo: avevo una tremenda paura di sentirmi scomoda, di rompere quell’insana ma per me necessaria abitudine di provare quel breve momento di sollievo, contro tutto il dolore pressante che mi rimbombava dentro.

L’invito che posso fare è questo: non fermatevi al giudizio, non restate indifferenti. Non si può pretendere di comprendere e di accorgersi di ogni forma di malessere, non si può essere onnipotenti, ma non si dia mai nulla per scontato scegliendo la via più semplice: quella dell’indifferenza. Solo se si affronta quel dolore, lo si nomina e lo si sceglie di combattere si può riscoprire la luce interiore. Solo definendo con le parole si può chiudere quel cerchio di non-definizione.

Non abbiate timore di viverla, questa vita, e di affrontare quegli scogli che a volte ci sembrano tanto tenebrosi: non siamo soli, ma possiamo scegliere di esserlo. Questo fa tanta paura, ma a volte è la via più semplice. Farsi male non è la soluzione: è solo una modalità per sviare, per evitare quel macigno che dentro brucia violentemente.

Una volta mi è stato anche chiesto quale fossa la parola più coraggiosa che abbia potuto mai pronunciare. É aiuto. Chiedere aiuto non è un atto di debolezza, ma di preziosa fragilità: è la più bella dichiarazione che si possa fare a se stessi.

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