Parliamo di “trigger”: 5 cose che devi sapere per difendere la tua salute mentale
Parliamo di “trigger”: 5 cose che devi sapere per difendere la tua salute mentale

Parliamo di “trigger”: 5 cose che devi sapere per difendere la tua salute mentale

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Parlare oggi di trigger warning significa innanzitutto prendersi cura, ma anche avere rispetto nei confronti della salute mentale dell’Altro. In un mondo fluido, che scorre senza sosta nel fervore quotidiano, spesso ci dimentichiamo di quanto possa essere complesso fermarsi e analizzare tutte le informazioni che ci vengono letteralmente scagliate dai principali mezzi comunicativi e dai social media.

trigger

In una società che non accetta la sosta e la interpreta come momento di debolezza, diventa quasi superfluo riflettere non solo sulle modalità di divulgazione, ma anche sulla qualità dei contenuti. Questa superficialità – spesso anche inconsapevole – può condurre a situazioni disagevoli, che a volte causano sofferenza e un profondo senso di inadeguatezza nei confronti di persone che stanno attraversando o hanno vissuto un periodo di estrema fragilità.

Da qui l’importanza di avvertire un possibile scompenso emotivo, soprattutto in un contesto di contenuti comunicativi che possono causare l’attivazione di uno stimolo importante. Facciamo un po’ di chiarezza.

1. Cosa si intende per trigger?

Trigger indica propriamente il “grilletto”: tale accostamento lessicale definisce, infatti, l’immediatezza con cui questo meccanismo si innesca, proprio come accade con un colpo di pistola.

In psicologia, tale termine assume un’accezione più complessa e metaforica: come spiega la nostra psicologa Gioia Iannitti nel suo post, il trigger è uno stimolo interno o esterno che, a seguito di un’esperienza traumatica, può causare una reazione fisiologica ed emotiva importante, altamente frustrante e angosciante. Tale reazione è chiaramente soggettiva, in quanto si basa sul bagaglio emotivo della singola persona.

Per stimolo interno si intende una sensazione, un’emozione provata nel corso di un trauma che tramite il trigger può essere ripresentata: ad esempio, la perdita di controllo, la paura, la rabbia o un blocco emotivo. Per stimolare esterno si fa riferimento ad una sensazione precisa, una situazione particolare, come un odore o un colore, un certo tono di voce o la vista di un oggetto preciso.

É importante specificare che moltissime persone sono del tutto inconsapevoli dei propri traumi e che il trigger è solitamente personale e, come detto prima, non necessariamente correlato all’esperienza reale. Un esempio classico è quello dei veterani di guerra, per cui il rumore di petardi o di fuochi d’artificio si può associare al trauma delle esplosioni e degli spari.

2. Perché subiamo il trigger?

Ciò che si vive durante un trauma è molto spesso immagazzinato da noi in modo del tutto frammentato, proprio come accade in un puzzle: ogni volta che si va a stimolare un pezzettino, rompendo quindi quell’equilibrio mentale, si avvia una forte attivazione nel nostro cervello che procura un forte senso di disagio.

Può accadere che ci si inizi ad agitarsi, a tremare e a sudare: si entra, infatti, in un vero e proprio stato di allerta e per natura il nostro corpo si adopera immediatamente a reagire per difendersi dal disagio percepito.

La mente umana mette in atto vari meccanismi innati per cercare di fronteggiare esperienze dolorose, come la rimozione e la dissociazione.

In breve, la rimozione è il tentativo della mente di dimenticare il trauma vissuto, per evitare di affrontarlo; la dissociazione consiste, invece, nell’allontanamento dal trauma e dal dolore per tentare di evitare una sofferenza insopportabile e per raggiungere una sorta di de-sensibilizzazione emotiva.

3. Come è possibile affrontare e trattare il trigger?

I trigger sono una condizione di cui soffrono molte più persone di quanto si possa immaginare. Pur sottoponendo i soggetti a un’ulteriore sofferenza, poiché li riporta a vivere il dolore del trauma, possono essere anche un fattore positivo per la guarigione.

In base ai fenomeni di rimozione e dissociazione, infatti, chi ha vissuto un trauma potrebbe appunto non averlo mai elaborato. Con l’innescamento dei trigger una persona potrebbe, quindi, rendersi conto della memoria traumatica.

Rivolgersi agli psicologi aiuta senza dubbio a elaborare nel modo più costruttivo possibile i trigger e il trauma. Certo, un trauma purtroppo non si può dimenticare, ma un buon supporto psicologico può aiutare le vittime dei traumi a riappropiarsi della propria vita e gestire i trigger senza esserne paralizzati.

4. L’influenza del mondo dei social network e l’evoluzione linguistica

Il mondo dei social network – anche dei media, in toni più generali – può essere considerato a tutti gli effetti un metaverso triggerante. Il trigger è un termine che tutt’oggi è altamente usato nei social network, specialmente dalla Generazione Z.
L’uso di questo termine sui social al 2010, (in Italia più recentemente, nel 2016) quando ha fatto la sua comparsa tra i commenti di social come Facebook e Twitter. Ad oggi, viene utilizzato soprattutto per indicare una reazione di repulsione, disgusto, o perfino rabbia e paura.

Da trigger derivano altre espressioni. Chi si definisce turbato da tale stimolo si definisce spesso triggered (una ripresa dalla lingua inglese) o anche triggerato da qualcosa o qualcuno. L’esistenza spesso dubbia di quest’ultimo attributo è confermata proprio dall’Accademia della Crusca, che da qualche tempo accetta il verbo triggerare.

5. Per fermare il pericolo, preveniamo con il TW

Il trigger warning è in italiano traducibile come «avvisi di trigger» o, più comunemente, come «avvisi di contenuto», che potrebbero urtare la sensibilità di qualcuno. Un esempio comune, proprio sui social, sono video o immagini che, appunto, potrebbero risultare troppo forti per il loro contenuto che potrebbe urtare la sensibilità.

In questi casi, il contenuto viene pubblicato con un trigger warning (acronimo: TW), in modo che il singolo utente possa decidere se aprire il video o la fotografia o meno, sapendo che, per l’appunto, potrebbe suscitare paura, angoscia o altro. Secondo un articolo della BBC sui trigger warnings, il termine e il concetto sono nati nei siti web femministi che discutevano di violenza contro la donna per poi diffondersi in altre aree, come la stampa, corsi universitari e social media.

Certo, in genere i trigger sono accostati a vista, suono, odore, gusto, tatto, sensazioni che potrebbero essere un fattore scatenante; tuttavia i trigger warnings sono più spesso usati su una gamma relativamente ristretta di materiale, in particolare sui contenuti relativi a tematiche decisamente urtanti a livello emotivo, come l’abuso, le malattie mentali, il suicidio, i disturbi del comportamento alimentare, l’autolesionismo e la violenza.

Ecco qualche categoria per i tuoi TW

Di seguito vi proponiamo delle sezioni tematiche utili per poter completare i vostri trigger warning. Segnatele, mi raccomando!

  • Temi razziali (razzismo, pregiudizio, antisemitismo, genocidio, schiavitù, campi di concentramento etc)
  • LGBTTQIA+ (transfobia, omofobia, bifobia etc)
  • Salute mentale (suicidio, autolesionismo, alcolismo, abuso di droghe, esperienza traumatica, attacco di panico etc)
  • Violenza (morte, morte degli animali, tortura, abuso sessuale, abuso fisico, mutilazione, violenza domestica, violenza contro la donna, violenza sugli animali, infanticidi
  • Altro (body shaming, fat phobia, matrimonio forzato etc)
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