La dipendenza dalla tecnologia e dai social network è oggi uno dei maggiori pericoli per la nostra società, soprattutto se ci si focalizza sulla fascia giovanile.
É chiamata nomofobia quel sintomo di natura ansiosa derivante dalla possibilità di restare senza telefono, nel momento in cui ad esempio lo si perde o sia nel punto di spegnersi per batteria scarica.
La sindrome da assenza del cellulare: la nomofobia e il rapporto con la FOMO
La prima domanda più diffusa è proprio questa: Cosa si intende per “nomofobia”? Deriva direttamente dall’espressione No Mo(bile) Phobia e delinea proprio la paura di restare senza telefono.
Il nostro smartphone è proprio il principale strumento digitale che ci permette di restare costantemente a contatto con il mondo a tempo reale e a colpi di swipe, scorrendo le dita sul telefono per visionare le ultime notizie.
A tal proposito, si è anche abbondantemente diffusa la sindrome della FOMO, acronimo per Fear Of Missing Out: termine sdoganato tra i giovani, la FOMO è un fenomeno sociale correlato alla digitalizzazione della vita quotidiana. Definisce la paura di essere esclusi, che corrisponde al timore di perdere o di non partecipare ad una esperienza piacevole e gratificante che coinvolge conoscenti o amici.
Potremmo senz’altro dire che la FOMO e la nomofobia risultano strettamente correlate da un dato: il bisogno giovanile di abusare della tecnologia per timore di risultare esclusi dall’ultima novità, dalla più recente tendenza.
Le prima statistiche britanniche preoccupanti
Il termine nomofobia è stato coniato per la prima volta in Inghilterra nel 2008, durante uno studio commissionato dal governo britannico volto ad investigare la correlazione tra lo sviluppo di disturbi dello spettro ansioso e l’utilizzo eccessivo dei cellulari.
Lo studio identificò nel 53% dei britannici che usavano quotidianamente lo smartphone elevati livelli di apprensione ed ansia quando “perdevano i propri cellulari, i cellulari si scaricavano e spegnevano, rimanevano senza credito per chiamare o messaggiare, o non avevano alcuna copertura del segnale”.
Lo studio svelò, inoltre, che approssimativamente il 58% degli uomini ed il 47% delle donne era affetto da ansia da disconnessione con il proprio mobile phone.
Nomofobia: come riconoscersi nella sindrome
Secondo le ultime ricerche italiane, vi sono innumerevoli campanelli d’allarme di cui tener conto, ma i primi cinque sono sicuramente i più diffusi.
- Guardare con costanza lo schermo del telefono per controllare se sono stati ricevuti messaggi o chiamate: in questo caso, si parla di un particolare disturbo che definito ringxiety, mettendo insieme le parola “squillo” e “ansia” in inglese (ring e anxiety);
- Dormire con il cellulare (o tablet): spesso lo si usa solo per addormentarsi o per far passare del tempo prima di chiudere gli occhi, ma il più delle volte può accadere di addormentarsi con il telefono in mano o comunque in un posto facilmente raggiungibile, in modo da essere facilmente raggiungibile nell’evenienza;
- Controllo costante del livello di batteria del dispositivo per assicurarsi che non si possa scaricare per eventuali operazioni importanti;
- Sentirsi ansioso e nervoso al pensiero di perdere il proprio dispositivo portatile, o quando il telefono cellulare non è disponibile nelle vicinanze o non viene trovato o non può essere utilizzato a causa della mancanza di campo, o perché la batteria è esaurita e/o c’è mancanza di credito, o quando si cerca di evitare i luoghi e le situazioni in cui è vietato l’uso del dispositivo (come il trasporto pubblico, ristoranti, teatri e aeroporti);
- Usare regolarmente il telefono cellulare e trascorrere molto tempo su di esso.
Si può parlare di dipendenza patologica?
Nonostante i sintomi siano molto similari a quelli dell’ansia, uno studio condotto da ricercatori del Panic and Respiration Laboratory dell’Università Federale di Rio de Janeiro (2010) sembra indicare che la nomofobia sia da considerare una vera e propria dipendenza patologica, piuttosto che un disturbo d’ansia.
I ricercatori avrebbero infatti sperimentato che un approccio terapeutico mirato a ridurre l’ansia non sia efficace nel trattamento della nomofobia, ma che i soggetti affetti da questo tipo d psicopatologia rispondano meglio ad un trattamento specifico per le dipendenze patologiche (King A.L. at all., 2010).
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) descrive la dipendenza patologica come:
Quella condizione psichica e talvolta anche fisica, causata dall’interazione tra una persona e una sostanza tossica, che comporta risposte comportamentali e da altre reazioni, e che determina un bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico, allo scopo di provare i suoi effetti psichici e talvolta di evitare il malessere della sua privazione.
Le nuove dipendenze, o “dipendenze senza sostanza”, si riferiscono a una vasta gamma di comportamenti disfunzionali e anomali quali il gioco d’azzardo patologico, la dipendenza da TV, da internet, lo shopping compulsivo, le dipendenze dal sesso e dalle relazioni affettive, le dipendenze dal lavoro e alcune devianze del comportamento.
Le principali cause della nomofobia
Identificare quali possano essere le cause alla base della Nomofobia non è facile. Innanzitutto va ricordato come l’utilizzo di internet e dello smartphone faccia parte della nostra vita quotidiana, lavorativa, scolastica e sociale. Sarebbe dunque impossibile cercare di impedire alle persone di accedere a internet o di utilizzare smartphone o tablet.
Non tutti però vanno incontro a una sintomatologia nomofobica. Sono stati identificati una serie di fattori, psicologici e non, coinvolti nell’affermarsi di questa condizione (King et al.; 2018); tra questi possiamo far riferimento a:
- Età: si è riscontrato che i giovani adulti risultano essere la popolazione maggiormente a rischio nello sviluppo di una dipendenza da smartphone;
- Genere: secondo la maggior parte degli studi, la nomofobia sembra essere prevalente nelle donne;
- Bassa autostima;
- Scarso senso di autoefficacia;
- Elevati livelli di introversione;
- Alta impulsività;
- Visioni negative di sé.
Mi chiamo Serena (di nome sicuramente, ma non sempre di fatto) e amo scrivere, dipingere e prendermi cura dei fiori e dei miei piccoli cagnolini. Per me ogni voce ha un valore e merita di essere ascoltata: è da questo pensiero che ho creato e sto portando avanti con entusiasmo e passione la nostra APS UNIVOX ETS.