Cos’è l’intelligenza emotiva? 4 falsi miti da sfatare
Cos’è l’intelligenza emotiva? 4 falsi miti da sfatare

Cos’è l’intelligenza emotiva? 4 falsi miti da sfatare

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Se io ti chiedessi di dire ad alta voce come ti senti in questo momento, saresti in grado di identificare l’emozione che provi? Questo è uno dei primi cardini della cosiddetta “intelligenza emotiva”. Negli ultimi anni il concetto è stato molto studiato e approfondito, sebbene talvolta si faccia un uso improprio del termine. Vediamo dunque di cosa si tratta e sfatiamo insieme alcuni falsi miti molto comuni.

Cos’è l’intelligenza emotiva?

Secondo la definizione di Daniel Goleman, uno dei più noti studiosi sull’argomento, l’intelligenza emotiva “è la capacità di riconoscere, comprendere e gestire le emozioni proprie e degli altri”. Si tratta di un’abilità, quindi, che parte dalla sfera individuale per estendersi a quella di chi abbiamo di fronte: essa ci permette non solo di rispondere in maniera efficace alle situazioni di ogni giorno, ma anche di facilitare le relazioni in ambito sociale. Non a caso, al concetto di intelligenza emotiva si affianca quello di “empatia” ossia, la capacità di mettersi nei panni dell’altro: ciò comporta l’essere consapevole delle proprie emozioni, comprenderle e il saperle riconoscere negli altri.

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Two teenage girls comfort their friend, in city environment

In altre parole, potremmo dire che possedere intelligenza emotiva ci permette di utilizzare le emozioni in modo consapevole, al fine di orientare al meglio i nostri comportamenti nel contesto individuale e sociale. Secondo Goleman l’intelligenza emotiva si compone di 5 competenze chiave:

  1. Autoconsapevolezza: consiste nel saper riconoscere l’emozione che si prova nel momento in cui essa si presenta. Se si conosce l’emozione che si prova non ci si sente impreparati e si è un passo più vicini al saperla gestire. Se vuoi sapere se possiedi questa capacità prova a identificare un’emozione che provi quando sei a scuola o al lavoro: in quali altre situazioni ti sei sentito così? Cosa significa per te sentirti in questo modo? Cosa può dirti su di te e sul tuo stato d’animo
  2. Autoregolamentazione: significa gestire le proprie emozioni; non parlo di negarle, mascherarle o eliminarle, piuttosto di non lasciare che esse influenzino i nostri comportamenti in modo inconsapevole. Prendiamo per esempio la rabbia: quando ci arrabbiamo potremmo dire delle cose che non pensiamo, perché in quel momento è la nostra emozione a parlare al nostro posto. Il risultato è quello di rischiare di ferire l’altra persona senza riuscire a comunicare in modo costruttivo come ci sentiamo. Se siamo in grado di autoregolamentarci, invece, sceglieremo piuttosto di rimandare la discussione ad un momento in cui possiamo essere lucidi o di esprimere la nostra rabbia in modi più opportuni. Autoregolamentarsi significa quindi sapersi adattare in modo efficace alle situazioni, operando scelte consapevoli.
  3. Motivazione: motivare se stessi significa continuare ad essere focalizzati verso il proprio obiettivo, distinguendo i nostri veri obiettivi dalle “interferenze” causate dalle emozioni. Facciamo un esempio: se ti sei fissato un obiettivo e durante il percorso si verifica un insuccesso, potresti pensare che non vuoi più proseguire. Ecco, chiediti se i tuoi obiettivi sono veramente cambiati o se è lo sconforto dell’insuccesso a fartelo pensare. Circoscrivere l’emozione all’episodio, distinguerla dal proprio intento e riconoscere la propria motivazione nel perseguire l’obiettivo è ciò che Goleman intende con “motivazione”.
  4. Empatia: ne abbiamo accennato poco fa. Empatia significa mettersi nei panni dell’altro, ma soprattutto ascoltare senza pregiudizi e saper cogliere i segnali non verbali. Che cosa intendo dire? Non pensare “se io fossi IN TE”, ma piuttosto “se io fossi TE”: essere empatici significa lasciare da parte i propri preconcetti o schemi mentali e abbracciare quelli dell’altro in maniera incondizionata.
  5. Abilità sociali: sono l’insieme delle capacità che permettono di interagire con gli altri in maniera efficace, di stabilire relazioni di qualità e cooperare. Queste abilità, spesso definite anche comportamenti prosociali, indicano il saper essere e il saper stare con gli altri. Se possiedi abilità sociali, le tue relazioni sono sane e costruttive e aiutano sia te, sia gli altri a crescere.
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In sintesi, quindi, l’intelligenza emotiva è la capacità di orientare noi stessi all’interno del contesto sociale e si fonda sulla consapevolezza delle emozioni come strumento che ci permetta di raggiungere la piena realizzazione individuale.

Un po’ di storia del concetto

I “prodromi” – se così si può dire – del concetto risalgono agli anni ’80, con Wayne Payne, psicologo ed educatore americano. Nel suo lavoro “A Study of Emotion: Developing Emotional Intelligence; Self-Integration; Relating to Fear, Pain and Desire“, Payne utilizzò per la prima volta il termine “emotional intelligence”, sottolineando l’importanza di comprendere e gestire le emozioni come parte integrante dell’intelligenza complessiva.

Il concetto fu poi ripreso e rielaborato dagli psicologi Peter Salovey e e John D. Mayer, nel 1990. Nel loro articolo “Emotional Intelligence”, pubblicato sulla rivista Imagination, Cognition and Personality, i due studiosi definivano l’intelligenza emotiva come «la capacità di controllare i sentimenti ed emozioni proprie e altrui, distinguere tra di esse e di utilizzare queste informazioni per guidare i propri pensieri e le proprie azioni».

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Peter Salovey e John D. Mayer
Fonte: scuolaintelligenzaemotiva.it

Tuttavia, è Daniel Goleman che ha reso famoso a livello mondiale il concetto di intelligenza emotiva, con la pubblicazione del suo libro “Emorional Intelligence: Why It Can Matter More Than IQ” nel 1995. Goleman ha ampliato la definizione di Salovey e Mayer, sottolineando, come si è già detto, l’importanza di competenze quali l’empatia, la gestione delle relazioni e la consapevolezza di sé.

Molti altri studiosi hanno poi contribuito agli studi sull’intelligenza emotiva. Tra questi vale la pena ricordare Howard Gardner con la teoria delle intelligenze multiple, in cui l’intelligenza emotiva è una delle sue componenti, e Richard Boyatzis, che ha sviluppato il concetto di “leadership emotivamente intelligente”.

Tra verità e falsi miti

Non sempre, però, si sente parlare in maniera corretta di “intelligenza emotiva”, anzi. Spesso si sentono in merito falsi miti e luoghi comuni, molto fuorvianti. Vediamone insieme 4:

  1. Avere intelligenza emotiva significa essere sempre gentili: falso! Saper gestire le proprie emozioni in modo da arrivare efficientemente all’obiettivo non significa essere sempre gentili. La gentilezza è un tratto caratteriale o piuttosto un atteggiamento: le due cose non sono legate. Ci potrebbero infatti essere dei contesti in cui l’atteggiamento più efficace consiste nell’adottare uno stile comunicativo assertivo, che potrebbe non essere percepito come gentile. Vuoi un esempio? Guarda questo spezzone del film “L’attimo fuggente”.
  2. Chi ha intelligenza emotiva non prova mai rabbia: c’è una gran bella differenza tra non provare rabbia ed orientare l’espressione della stessa. Lo studioso Paul Ekman individua 7 emozioni primarie e tra queste la prima è proprio la rabbia, in quanto risposta fisiologica ad un disagio. Ti dirò di più: secondo l’analisi transazionale, chi afferma di non arrabbiarsi, in realtà, sostituisce la rabbia con altre emozioni “parassite”, ossia non autentiche. Quindi, è naturale provare rabbia, anche se possiedi intelligenza emotiva: non puoi scegliere quale emozione provare e quale no!
  3. L’intelligenza emotiva è una qualità innata: l’intelligenza emotiva non è genetica, tutti possono imparare e migliorare! Nella scuola, ad esempio, ci sono alcune tecniche didattiche che possono essere utilizzate per far sviluppare ai bambini l’intelligenza emotiva. E’ il caso del cosiddetto “circle-time”, in cui tutti i partecipanti, in cerchio, sono liberi di esprimere a turno le proprie emozioni ed ascoltare quelle degli altri. Ciò non significa che essa si apprende solo a scuola e da bambini: si può acquisire a qualsiasi età, attraverso l’esperienza o attraverso percorsi di educazione emotiva.
  4. Le donne hanno più intelligenza emotiva degli uomini: è una credenza assolutamente infondata (e – diciamocelo – un po’ sessista). Non c’è nessuna correlazione tra cromosoma X e intelligenza emotiva: insomma, non ha nulla a che vedere con il sesso. Sono i fattori ambientali ed il contesto, in cui il singolo individuo cresce, a permettere uno sviluppo più o meno avanzato di intelligenza emotiva.
Tecnica del circle-time
Fonte: gettyimages

Spero che questo articolo ti abbia aiutato a fare chiarezza ed avere più consapevolezza sull’argomento. A presto!

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