De.sidera. Il peso della leggerezza: Bianca racconta la sua bulimia nervosa
De.sidera. Il peso della leggerezza: Bianca racconta la sua bulimia nervosa

De.sidera. Il peso della leggerezza: Bianca racconta la sua bulimia nervosa

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Dirlo sembra davvero scontato: la leggerezza non potrà mai essere pesante, così come un sasso non potrà mai volteggiare in aria come una piuma. Siamo abituati a soffermarci solo su una sola prospettiva, quella che pare più credibile e meno complessa da mettere in discussione. La verità, tuttavia, non è sempre scontata.

Oggi si percepisce la pesantezza non solo in un contesto di vita caotico e stressante, ma anche nel silenzio e nella privazione. Sì, perché ci si può sentire pesanti anche durante un sofferente processo in cui si perde tutto ciò che si ama, ci si sente trasparenti e si perdono frammenti della propria identità.

leggerezza

Questo connubio ossimoro sarà la chiave di questo nuovo capitolo di De.sidera, che avrà come protagonista una giovane donna che di fermarsi, nonostante la strada dissestata, non ne voleva proprio sapere.

Giochiamo con l’etimologia

“Leggero” in latino si traduce con un aggettivo dalla delicatezza non indifferente: levis. L’immagine evocativa è di un soffio d’aria dolce, lieve, piccolo e fugace, di una parola di poco conto, di scarso valore. Non è leggero, invece, ciò che è grave, perché la gravitas punge, ammutolisce e abbatte. É un peso opprimente e non indifferente, serio e solenne, che intimorisce perché ostacola il percorso.

Gravitas, tuttavia, è anche “gravidanza”. Può essere considerato mai pesante, il peso della vita? Conviverci non è mai semplice, ma quando questo può condurre all’origine di una bellezza autentica ogni sforzo diventa utile.

Levitas – è la quantità a fare la differenza – non è solo leggerezza, ma anche levigatezza. É levis il legno levigato, liscio, senza irregolarità. È levis, quindi, anche tutto ciò che è perfetto, ma tutto ciò che è perfetto non potrà mai essere per natura umano ed è proprio questo il punto.

Il perfetto non è umano

Ci hanno sempre insegnato che la perfezione è sintomo di purezza, un ideale a cui aspirare eternamente ma che non offre un’isola di sosta. Semplicemente perché la ricerca del perfetto è un non-viaggio e il suo raggiungimento è pura utopia, un luogo senza tempo e senza storia.

É perfetto ciò che è compiuto e ha terminato il suo processo. É perfetto tutto ciò che di cambiare non ne vuol sapere niente. Può l’essere umano, nel corso della sua vita, smettere di evolversi? É una violenza senza senso, contro natura e priva di ogni ragione d’essere.

Allo stesso modo, ci hanno insegnato che la ricerca della perfezione è la chiave per essere felici: “se sarai perfetto, sarai anche felice”, si ripete spesso. Non a caso, si tratta di una delle bugie più plateali che possano essere intercorse nel progredire delle generazioni, ma anche di un’importante fonte di disagi che spesso tramutano in qualcosa di maggiormente complesso e sofferente.

La leggerezza non è sempre e solo sintomo di perfezione, ma anche un peso davvero difficile da sostenere, proprio come un silenzio assordante: ce lo spiegherà proprio ora Bianca.

De.sidera: una rubrica per dare voce a chi sente di non averla

Il desiderium (in italiano, “desiderio”) richiama due parole latine: de sidera. La prima è una preposizione di allontanamento, distanza, mentre la seconda richiama evidentemente il mondo astrale. Il desiderio delinea propriamente la distanza dalle stelle: cos’è un desiderio se non proprio una speranza che si vuol raggiungere, volgendo lo sguardo verso il cielo?

Tale distanza richiama proprio quella percepita dal mondo giovanile nei confronti del quotidiano: un allontanamento ancestrale dal mondo che divide e allontana, che fa paura e che non sempre si riesce a comprendere. Noi, però, qualcosa la possiamo fare: prendere atto di tale disagio e intervenire nel nostro piccolo per salvare ciò che inferno non è.

rubrica de.sidera

La storia di Bianca

Bianca è una giovane donna che ha visto le peggiori tempeste anche in un tramonto d’estate. Bianca ha 24 anni, studia e lavora, ma per molto tempo ha smesso di sentire la vita scorrerle nel corpo. Bianca è gracile, ma anche fragile. Bianca è in recovery – dall’inglese, in fase di ripresa e riscoperta -, ma anche in viaggio, uno che non aveva mai intrapreso prima: il viaggio verso l’imperfezione, quella che ha sempre disdegnato e detestato perché non le lasciava mai tregua.

Bianca ha imparato dalla società che l’essere imperfetti era come una macchia nera su una tela bianca, un grave elemento di disturbo. Ha sempre viaggiato verso una direzione, finché ad un certo punto è scesa dal treno: la sua partenza è diventata la sua direzione.

Bianca rimuoveva tutto il nero che le toglieva il respiro con pochi gesti abituali, considerati agghiaccianti agli occhi dei più. Raccoglieva i sassi più pesanti, li portava con sé per qualche attimo per poi cacciarli via senza pietà. Bianca ha sofferto per diverso tempo di bulimia nervosa, ma lei non lo sapeva perché non voleva saperlo, così come non voleva che nessuno lo comprendesse.

Oggi ho scelto di non fare nessuna domanda a Bianca, perché volevo che Bianca si sentisse leggera come voleva lei, per una volta. Volevo che parlasse senza che nessuno e niente le dicessero cosa fare e come farlo, nei suoi tempi e nei suoi silenzi. Sceglie di scrivere, perché le permette di esprimersi al meglio e di sentirsi a suo agio.

Ricordo il giorno in cui, per la prima volta, ho scelto. Scelsi di non voler più essere perfetta e il solo aver trovato la forza di fare questa scelta mi ha permesso di ritrovare quel brivido che ormai avevo perso da tanto, troppo tempo.

Ricordo, però, anche il giorno in cui tutto è iniziato. Una sensazione così intensa, così piena, che quasi ti fa scegliere di voler “vivere” così: fluttuando, senza un perché.

Ogni volta che sceglievo di liberarmi, la storia era sempre la stessa. Respiro, chiudo gli occhi, attendo quegli attimi sufficienti a discostarmi dalla realtà. Mi alzo, respiro, sento il cuore aumentare il battito, perché solo allora capiva che a breve si sarebbe scosso irrefrenabilmente. Le luci del corridoio verso il bagno sono flebili, deboli, come me. Ad occhi chiusi, sembra camminare passo per passo verso il nero più totale.

Ad occhi chiusi, sempre, blocco la porta. Faccio scorrere l’acqua dal rubinetto, perché nessuno deve sentirmi. Nemmeno me stessa. Poi tutto ha inizio, ma poi tutto ha una fine. Solo allora apro gli occhi, mi guardo allo specchio e gli occhi sono gonfi, le lacrime cadono senza controllo e i capillari pulsano. Il respiro cerca di riassettarsi, il peso è ormai andato via. Sono di nuovo leggera. Sono di nuovo ad un passo in più verso l’essere perfetta.

Solo dopo avrei capito che un passo in più verso la perfezione ne equivaleva a dieci verso l’odio profondo per me. Questo, senza un supporto terapeutico, difficilmente lo arrivi a comprendere. Io a volte, ad occhi chiusi, penso ancora a quanto fosse bello essere così leggeri. Poi, però, penso a quanta pesantezza mi sia portata con me per tutti quei secondi, quei minuti, quei giorni, quei mesi.

Poi, però, penso a quanta vita mi è costata. Poi, infine, penso che voltarmi indietro e correre controcorrente sia stata la scelta più folle e coraggiosa che abbia mai fatto.

Bianca ha apprezzato di avere questa possibilità. L’ha apprezzata davvero, davvero molto.

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“De.sidera” è una rubrica volta alla sensibilizzazione del disagio giovanile in ogni sua sfaccettatura e si pone l’ambizioso obiettivo di raccontare testimonianze in uno spazio di non giudizio, tutelato dal rispetto di chi conduce tale missione.

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